IL GRULLO PARLANTE Una favoletta calcistica. La storia di Arpioncino.
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In un piccolo paesino
eschimese abitava un bambino eschimese di nome Arpioncino. Arpinocino
aveva una mamma, un babbo e trentasei fratelli eschimesi. Erano
poverissimi. Abitavano in un igloo monolocale dove dovevano fare i turni
per dormire, poco era lo spazio, ed il bagno si trovava a 16km di distanza
nella tundra. Il babbo era teoricamente un alcolizzato, ma siccome in
Groenlandia settentrionale non cresce nulla che possa essere fermentato o
distillato per farne alcolici, il babbo era sempre sobrio e ben presente.
Arpioncino amava il calcio con tutta la passione di dodicenne pieno di
sogni e di speranze. Aveva sentito parlare delle famose spiagge brasiliane
percorse in lungo e in largo da frotte di scorpitori di talenti,
travestiti da pedofili per non farsi riconoscere, sempre alla ricerca di
nuovi campioncini da mettere sotto contratto. Arpioncino sapeva di avere
la stoffa per diventare un giocatore di classe. Si allenava da mattina a
sera (sei mesi consecutivi d'allenamento, poi dormiva per i sei mesi della
notte polare -la vita funziona cosi' al Polo Nord). Ogni anno, a fine
settembre, quando la mamma lo chiamava per cena, il bimbo faceva sempre le
bizze perche' non voleva interrompere gli allenamenti, ma soprattutto
perche' detestava la minestra di fegato d'orso polare. La famiglia di
Arpioncino era talmente povera che per allenarsi il bambino era costretto
ad usare una palla di ghiaccio ben compatta del peso di tredici kg e della
durezza del diamante. Si allenava in compagnia di una foca monaca
sgattaiolata dal convento li' vicino ed un pinguino emigrato dalla Terra
del Fuoco in cerca di fortuna. Arpionciono era abilissimo di testa, ma a
causa del peso e della durezza della palla gli era venuta una fronte
concava che a volte il babbo usava come portacenere. |
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