IL GRULLO PARLANTE

Prurito

 

 

Da due giorni mi prudevano tremendamente le palle. E sì che me le grattavo veementemente da mattina a sera. Interrompevo la grattugiata solo per brevi intervalli; mangiare, bere, far di conto. Nonostante il continuo sgrattugiare il prurito continuava imperterrito. -Che l'abbia sfregolate sull'ortica quando l'altro giorno ho cacato nel pratino alle cave di Maiano?- pensavo. -No, l'effetto dell'ortica non dura così a lungo.- -Avrò forse mangiato qualcosa che m'ha irritato? Il polpettone di castagne e lumache? La trippa? Il risotto al cinocefalo? Il fritto misto di cozze e testicoli di canguro? No, ho uno stomaco di ferro.- riflettevo assumendo la posa da barone della medicina (m'ero perfino messo, per meglio immedesimarmi nella parte, il camice bianco, lo stetoscopio al collo e spedito le raccomandazioni a colleghi per favorire i miei pupilli -in genere belle tope che la danno facile- in concorsi di dottorato truccatissimi). Non capivo. Non v'era spiegazione plausibile. Lo so, avrei potuto consultare un dottore. M'avrebbe sicuramente prescritto un antistaminico, ma non so nemmeno cosa sia. Inoltre sono contrario alle medicine. Per me solo metodi naturali.
Grattavo, grattavo, grattavo senza pace. Tra l'altro, sfortunatamente, m'ero pure tagliato le unghie proprio il giorno antecedente l'insorgere del prurito, e grattarsi con i polpastrelli non dà certo lo stesso piacere liberatorio di unghie belle lunghe, magari con quel righetto nero di sudicio che spesso le accompagna. Pensai di passare alla carta vetrata, ad una grattugia da formaggio o alla spazzola che uso per il pelo del mio pastore afgano. -Se potessi, me le morderei fino a spellarmele. Non ce la faccio più.- riflettevo a bassa voce parafrasando un'espressione tipica dei transumanti autarchici. -Potrei provare ad immergerle nell'acqua bollente, in quella gelida o nell'aceto- Riflettei a mezza voce mentre nella nota posizione a pi greco mezzi, vale a dire da dietro, piegato in avanti, me le sfracellavo contro la corteccia di un pino per cercare refrigerio dall'incontenibile prurito. Nel mio girovagare alla ricerca di sollievo ero uscito di casa e m'ero incamminato su per la collina. Durante il mio vagabondare avevo provato a cercar giovamento sgrattugiando i testicoli, che tanta uggia mi davano, contro l'asfalto della strada, su una roccia di granito ed il battistrada di una gomma di un camion parcheggiato. Senza particolari risultati.
Mi guardai intorno. Per un fuggevole e prezioso istante la bellezza del paesaggio circostante distolse la mia mente dal continuo fastidio scrotale. Il muro cadente di una vecchia casa abbandonata, con la sua superficie d'intonaco scrostato contro il quale avrei potuto trovar temporaneo sollievo sfregandoci sopra le mie parti intime, mi strappò un lieve e fuggevole sorriso. Un ripido pendio ricoperto d'aghi di pino, bucolico soggetto d'opere innominate, mi fece intravedere universi sconosciuti. Avrei potuto scivolare su di esso a culo nudo, schiacciandoci contro i coglioni, per poterne godere appieno la sua pungente ruvidità. Tutto era più ruvido, vivo, reale. Vivevo in un paradiso e non me n'ero mai accorto prima. Mentre percorrevo un viottolo isolato un istrice m'attraversò la strada di corsa. Un istrice. Se mi fosse stato amico si sarebbe fermato e m'avrebbe permesso di sfregare le palle doloranti sui suoi aculei acuminati. Invece s'infilò nella macchia, scomparendo in un batter d'occhio. L'odiai come si odia un foruncolo sulla cappella. Per un breve istante desiderai trovare un riccio morto. L'avrei preso dolcemente tra le mani ed accarezzato con delicatezza. Dopo una breve prece me lo sarei strofinato con violenza fra le cosce, alla ricerca di sollievo. Guardandomi intorno notai un bosco di castagni lassù in alto, in cima alla collina. Era luglio inoltrato e le speranze di trovare dei ricci di castagne ancora a terra, preziosi fossili dell'anno precedente, erano grame. Dovevo tentare. Corsi a perdifiato verso il castagneto, fermandomi di tanto in tanto per una sfregata contro il tronco di un albero o una siepe di more. Piansi lacrime amare alla vista di quel sottobosco privo di ricci. Presi un sasso e cominciai a sbattermelo sullo scroto. Dolore e piacere. Sollievo e disperazione. Dopo ore ed ore di queste peregrinazioni la stanchezza prese il sopravvento sul prurito. M'assopii.
Non so quanti minuti, ore o giorni passsarono ma, alfine, mi svegliai. Mi guardai intorno, intontito. Il prurito era sparito. I testicoli mi scoppiavano dal dolore. Ma questa volta era un dolore vero, sano, che prima o poi sarebbe passato. Urlai di gioia. A squarciagola. Camminando verso casa trovai un riccio morto in mezzo al sentiero. Qualcuno, lassù, aveva ascoltato, in ritardo, le mie preghiere. Raccolsi l'animaletto e lo portai dall'imbalsamatore. In attesa del prossimo attacco di prurito m'ero procurato un'arma in più.

Trapezio Prepuzio

 

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